Quando Quentin Tarantino decise di girare The Hateful Eight in Panoramico Ultra Panavision 70mm, sono stati in molti a dargli addosso perché le sale attrezzate nel mondo erano pochissime. Oggi che Ang Lee fa lo stesso, ma all’inverso – guardando al futuro anziché al passato – nessuno si lamenta più di tanto e, anzi, tutti salutano con curiosità il suo Gemini Man, girato on una ripresa a 120 fotogrammi al secondo abbinata al 3D nativo.
E allora diciamolo subito: non lo vedrete in questo formato. In una sala classica non avrebbe comunque senso, dato che l’immagine bidimensionale non aiuta un film come questo, pertanto cercate almeno di fruire il formato 60 fotogrammi al secondo e 3D. E già cominciare una recensione snocciolando formati e altri tecnicismi non fa onore al lavoro di un autore. Cavalcare l’onda della tecnologia va benissimo, sperimentare in arte… anche. Ma se il tutto è solo asservito alla tecnica non va affatto bene, e lo diceva un tizio di nome Alfred Hitchcock.
La trama di Gemini Man al servizio della tecnica
Il fatto è che poco resta, se si esclude tutta l’innovazione tecnica che supporta il film. La sceneggiatura stessa è stata scritta proprio pensando a ciò che non c’è, che poi sarebbe stato realizzato in digitale. E uno dei protagonisti stessi del film è pura tecnica. Will Smith non è il doppio di se stesso, con addosso meno di vent’anni, grazie a tecniche di ringiovanimento digitale. È proprio interamente ricreato e la sua performance è stata modellata grazie alla mo-cap dell’attore stesso, che ha quindi svolto un doppio lavoro, sinceramente caricandolo troppo in entrambi i casi.
Insomma, Henry Brogan, l’assassino, il cecchino governativo che conta più omicidi di tutti gli altri, il più preciso di tutti gli altri, che non dorme perché divorato dai sensi di colpa, l’omicida dal cuore d’oro che però sa fare solo quello, vuole ritirarsi. Perché stava quasi per uccidere una bambina. Uno così non avrebbe mai sbagliato, ma sorvoliamo. Vuole ritirarsi e pertanto il governo vuole farlo fuori. Ma lui non è solo un cecchino, è anche una macchina da guerra, un commando in un solo uomo, pertanto per ucciderlo ci vuole uno forte come lui… praticamente se stesso, più giovane, clonato anni prima a sua insaputa. Ovviamente il tutto si condisce con la quota rosa e la minoranza messicana e tutti sono contenti. Persino Will che vuole sempre mandare messaggi di pace, ma la battuta “Chi vorrebbe clonare uno come me? Insomma, perché non clonare Mandela o persone così?” in bocca a un cecchino fa ridere e basta. Come pure la banalità del resto dei dialoghi.
Siamo pronti alla tecnologia di Gemini Man?
Premesso che questo film ci ha generato un gran mal di testa, perché l’occhio non è abituato a vedere tanti fotogrammi al secondo, non c’è tanto da chiedersi se questa tecnologia ci colga impreparati, quanto se tutto questo sia realmente necessario. In un film come questo, a nostro avviso, no. Tolto lo script che svilisce attori ottimi come Will Smith e Clive Owen, la fotografia così nitida lo fa davvero assomigliare a uno sceneggiato Rai. Uno di quelli a basso budget, con tutto il rispetto per chi ci lavora. Questo tipo di ripresa è bellissimo se aggiunge veridicità a prodotti di reportage, a documentari sulla natura o a film diversi come Vita di Pi. Vedere i due Smith che combattono, percepire chiaramente la falsità del tutto, con tale nitidezza e veridicità da smascherare qualunque trucco, è francamente troppo.
E ci viene da liquidare un film che ha visto uno sforzo produttivo durato anni, costato milioni e impiegato tantissime persone con una frase sola. Quella di James Cameron: “Per quanto possa essere buono, il 3D non renderà mai bello un brutto film”.