Difficile pensare a qualcuno diverso da Oliver Stone, almeno in questo particolare momento della storia del cinema, in grado di portare sullo schermo l’epopea, magnifica e immortale di Alexander, Alessandro Magno, uomo che per primo andò alla ricerca dell’ignoto, spingendosi oltre i confini conosciuti quattrocento anni prima di Cristo, cullando il sogno di poter unire sotto un’unica bandiera i popoli e le culture più disparate. E allo stesso tempo parliamo di un condottiero, un guerriero coraggioso che ha sempre combattuto davanti ai suoi soldati, portandoli con lui nell’eternità della gloria.
Stone è un liberal che ha conosciuto la guerra, quindi in qualche modo meglio di altri poteva capire una figura così difficile e controversa, ma anche così affascinante.
“Guardate ad Alessandro con gli occhi del Ventunesimo secolo” ci ha detto il regista di Platoon a Roma in occasione della presentazione del film.
“Per centinaia di anni è stato chiamato il Grande, era ammirato da tutti i conquistatori, i filosofi, i politici. Lui era diverso, utilizzava il sistema di ciò che conquistava, accettava tutto di quelle culture, ha unito il mondo, almeno per quello che siamo in grado di conoscere. Il problema è che non ha mai trovato un centro. Immaginate un uomo giovane che dica che non abbiamo bisogno di confini, non un conquistatore, ma un esploratore e un amministratore corretto. Oggi non possiamo capirlo, perché siamo limitati dal nostro provincialismo. Immaginate un mondo senza confini. Lui non ha fatto come Bush che porta il petrolio a casa, lasciava le ricchezze dove le trovava.”
Alexander è un’opera cinematograficamente grandiosa
Costosa (“Il film è costato 155 milioni di dollari, il più costoso che abbia mai realizzato”) che proprio per questa sua opulenza ricorda il cinema dei tempi che furono, quello dei kolossal come I dieci comandamenti o Ben Hur, ben lontano dalle raffinatezze di chirurgia estetica digitale di Troy e soprattutto dalle sue corbellerie narrative. Stone racconta una storia che si trova sui libri, seppure in maniera discutibile attraverso la narrazione noiosa e annoiata di Anthony Hopkins nei panni di un anziano Tolomeo, la cui voce fuori campo e gli intermezzi con gli scribi appesantiscono i già non facili 173’.
Ma di fronte a una storia così affascinante si può passare sopra a molte cose, anche la rapidità con cui vengono affrontati e risolti argomenti che avrebbero meritato maggiore attenzione.
Ci sono le belle prove di un ritrovato Val Kilmer nei panni di Filippo il macedone, di una sorprendente Angelina Jolie, madre amorevole e spietata nei confronti del conquistatore del mondo, di Jared Leto e di Rosario Dawson, quest’ultima straordinaria per presenza scenica, bellezza animalesca e selvaggia. Così come è da condividere la scelta di mostrare Alessandro anche per le sue scelte sessuali, senza giudizi né pregiudizi, rispettando la tradizione ellenica per cui l’omosessualità era un concetto lontano. “Pansessuale sarebbe la parola corretta” ha puntualizzato lo stesso Stone
“Lui esplorava l’interno e l’esterno delle persone, come le terre in cui arrivava. Credo sia un peccato che negli Stati Uniti ci sia stata una reazione omofobica, perché sottolinea un solo punto e si perde di vista l’insieme della vita di Alessandro”.
Non manca, ovviamente, la maestria di Stone dietro la macchina da presa, soprattutto nelle scene di battaglia, maestose ma anche volutamente confuse, durante le quali Stone cerca più di far capire i movimenti degli schieramenti in campo, per esaltare le qualità di geniale stratega di Alessandro. I campi lunghi e le riprese aeree, che limitano anche il necessario utilizzo del digitale per la creazione degli eserciti, si contrappongono alla potenza delle cariche della cavalleria e al sangue che sgorga copioso nei corpo a corpo, ripresi con lo stesso desiderio di fare sentire lo spettatore nel pieno della mischia, come nelle scene più intense sul campo di football di Ogni maledetta domenica.
Alexander è un film imperfetto
E quindi già per questo migliore di tanti prodotti con tutte le cose al loro posto che imperversano nel panorama cinematografico odierno.
“Sono stufo del politically correct” ha detto Oliver Stone “che dice che oggi debba esistere un solo stile. Mi manca il cinema di spettacolo e credo che manchi anche un vero giudizio critico. Le epopee suscitano sospetto, ma non capisco perché dobbiamo chiuderci sempre di più in due stanze”.
Parole sante.