Quando ho visto Le fate ignoranti, l’ho amato profondamente; per ora posso vantare una sola visione, ma riesco a citare intere battute, ogni singolo fotogramma è impresso nella mia mente. È bello come un uomo, Ferzan Ozpetek, riesca a trasmettere così tanto di se stesso attraverso le storie degli altri e a farci partecipi dello sguardo con cui si affaccia su qualche fetta di mondo.
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Così è anche ne La finestra di fronte, una descrizione arricchita da molte riflessioni, uno scorcio di vita di oggi, all’interno della quale non c’è mai un solo avvenimento, non ci si incrocia mai con una sola persona o una singola realtà, una vita in cui i sogni hanno bisogno di alimentarsi nei piccoli ritagli di tempo, in cui i pensieri affiorano mentre si è intenti in qualcos’altro.
La finestra di fronte è un film prezioso
Da tenere ben custodito nello scrigno della mente, denso com’è di consigli per la vita, elargiti senza la pretesa di esserlo, senza la preoccupazione di essere ‘fuori moda’. Non esiste una moda per i sentimenti.
Amo la mia città in maniera viscerale, la respiro ogni giorno. Ed è strano come proprio Ozpetek, romano soltanto di adozione, possa ritrarla dalla giusta angolazione e sotto la giusta luce: Ferzan descrive Roma come uno che ci vive e la capisce, la ama e ne sente il pulsare.
Non è la Roma dei turisti
Non ci sono gli scorci monumentali o i vicoli del centro con i panni stesi ad asciugare; la bellezza della città affiora nel quotidiano, negli angoli di parco un po’ lasciati andare in cui ci si rifugia a passeggiare, negli interni di case vissute, arredate con poco stile, piene di oggetti regalati, comperati, ereditati… Non c’è bisogno di mostrare il traffico cittadino per far capire lo stress di una vita affannosa, basta una madre che non sorride ai suoi figli, un rapporto coniugale che si alimenta di una notte la settimana, una vicina che tiene i bambini al posto dei genitori…
E, con i suoi toni caldi, i rossi e gli ori tanto amati, le stelline in brodo e la coperta della mamma, Ozpetek si avvicina ai volti, tira fuori dai suoi attori l’anima di persone che non sapevano di essere.
Giovanna Mezzogiorno con una crocetta d’oro sulla scollatura profonda della camicia da notte
Poi con il camice da lavoro e i capelli tirati austeramente, il viso contratto dal quotidiano che non lascia spazio nemmeno ai sapori. Lei, fragile e piccola, con due occhi che sono due universi uguali e distinti tanto sono pregni di misteri e significati, regge il film con una interpretazione urlata sottovoce, una prova da Nastro d’argento, diversa da come siamo abituati a vederla.
Filippo Nigro, il papà bambino, il romano buono legato alla famiglia, non scontato, non ridotto a macchietta o archetipo, che indossa sempre portentose magliette lise e ‘risicate’ (ma lo avete visto? Come si fa a non farselo bastare e a desiderare di tradirlo?), che diventa uomo piangendo, solo e tutto rosso in viso, come solo un uomo sa fare.
Raoul Bova, ancora inadeguato a certi ruoli, mela acerba che però…
E poi Massimo Girotti, intenso nel suo procedere con lentezza, nello sguardo perso tra le macchie senili della pelle, nella dignità che appartiene ormai ad altre generazioni.
La finestra di fronte è un film di sapori veri
Dolceamari, mescolati con un’ideologia chiara e dichiarata, naturale e intensa, universale come una lettera d’amore. Dalla memoria possiamo imparare le cose più impensate, anche come amare la famiglia e il marito, come realizzare un sogno che apparentemente non c’entra un bel niente; la memoria è il baule antico della nonna che sta in soffitta e, se lo aprissimo più spesso, quante cose utili scopriremmo di avere…