Sono circa 9 ogni mese le donne che vengono uccise in quanto donne. In questo caso, e solo in questo, si tratta di femminicidio. 4 su 5 vengono uccise in ambito familiare, ristretto o allargato, e nel 64% dei casi le donne vengono uccise dal marito, da compagno o da un ex.
Per quanto riguarda gli abusi sessuali, si è registrato un forte aumento nel 2023, ma i più ottimisti ipotizzano che si tratti solo di maggiore consapevolezza e propensione alla denuncia. Ebbene, non sempre è così. E anche qualora lo fosse e il dato fosse costante, sarebbe comunque una sconfitta per una società che dovrebbe percorrere una strada verso l’evoluzione sociale.
Le statistiche sono fredde, la gente non le ascolta. Il paradosso sociale si misura empiricamente, vivendo le persone, ascoltando la gente, uscendo da una bolla che è comfort zone per chi crede di star facendo qualcosa di tangibile e invece è solo in cerca di rassicurazioni e consensi. Ho parlato con molti uomini che la pensano in modo disgustoso nell’ultimo anno e ho compreso molte più cose da loro che dai “compagni” che si professano per la parità, quando non addirittura ruffianamente femministi.
L’assuefazione ha portato la moda. Lo stupro di gruppo adolescenziale “fa figo”. La moltiplicazione dei casi a distanza ravvicinata lo prova. Oltre a contare le denunce, ci si dovrebbe prendere la briga di farsi un giro tra chat e nuovi social. Come noi professionisti della comunicazione, si dovrebbe “analizzare il sentiment”. Lì sì, se ne leggerebbero delle belle. Lì sì, si capirebbe la reale percezione di un problema millenario, mastodontico, che a nessuno va di risolvere davvero.
Giovani mostri come quei bravi ragazzi del Circeo che si vantano con gli amici, che seguono il branco. Perché nessuno in un gruppo si fa venire in mente che forse non è proprio giusto quello che si sta facendo. E questa è solo la punta dell’iceberg. Le violenze estreme, come l’omicidio e lo stupro, sono le più facili da condannare. Vivaddio sono ancora le più aberranti, condannate dalla maggior parte di noi. Persino un assassino sa che uccidere è sbagliato.
Il peggio arriva quando le violenze prendono altre forme, perché lì le commettiamo tutti, nessuno escluso, e troppo spesso non sappiamo riconoscerle. O addirittura pensiamo che siano normali, accettabili, in troppi casi persino giuste. Dalla manipolazione psicologica, al ghosting, al situationing (tutti atteggiamenti che hanno anche alcune donne, ma statisticamente sono più maschili) fino ad arrivare alla violenza economica, all’isolamento sociale, alla violenza fisica e domestica, mai troppo raccontata.
Ultimamente ho letto l’autobiografia di un uxoricida italiano storico, Antonio Olivo, famoso perché dopo aver ucciso sua moglie, averla fatta a pezzi, sfilettato le sue interiora, averle gettate nello scarico del gabinetto, aver tentato di occultare i restanti pezzi dopo averle infilato naftalina in ogni orifizio, è stato condannato a 12 giorni di carcere, ma ne ha scontati solo 10. La ragione? La colpa era della moglie: lo aveva provocato, era insopportabile, non stava al suo posto, se l’era cercata.
Un caso degli anni Cinquanta che oggi per fortuna non accade più? Oggi questo non si pensa più. Ne siamo sicuri?
Serve scomodare gli interrogatori durante i processi, quelli in cui si tenta di stabilire se la ragazza stuprata in qualche modo abbia trovato il lupo, per ritrovare questo atteggiamento? O piuttosto è talmente radicato nel nostro modo di esprimerci e di pensare da non farci più caso?
Per anni mi sono sentita ripetere che “Tuo padre ti menava? Eh, ma tu che gli facevi? Capirai, con questo caratterino, chissà come gli rispondevi…”
Abbastanza male da farmi coprire di tagli e lividi, evidentemente.
E anche una decina di giorni fa, nel febbraio 2024 ha troneggiato la solita frase nel discorso generalista “Hai due sorelle? Siete tre figlie femmine? Capirai… povero tuo padre, che vitaccia!”.
Frasi sciocche, qualunquiste, retaggio di un’ignoranza ormai inaccettabile, ma che vengono pronunciate ridendo, con assoluta leggerezza. E che dentro di me pesano come macigni.
Cosa è stato fatto in un anno in cui tanto si è parlato di “educazione sentimentale”, scaricando la responsabilità su una scuola già abbastanza vessata da tagli e caos assoluto? Si è parlato.
E basta.
È evidente che la percezione dell’altro in quanto essere umano cede terreno a una recrudescenza di violenze sulle donne. Magari veniamo ammazzate leggermente meno (questione di poche unità di noi in un anno), ma tutti gli altri abusi sono in forte aumento. E spesso le discriminazioni sono proprio in quegli ambienti che si fanno portabandiera di uguaglianza e progressismo.
Quelle stesse persone che fanno bene attenzione a pronunciare frasi come “le lavoratrici e i lavoratori”, ostentando un cavalleresco femminile per primo, hanno completamente escluso dai loro comizi una legge che abolisca il gap tra gli stipendi a parità di ruolo, i congedi parentali che permettano anche alle madri di non essere penalizzate nella loro carriera, politiche genitoriali varie, ma soprattutto una educazione che possa, anche alla lunga, garantire una maggiore dose di sicurezza. Che possa portare finalmente le donne a non sentirsi sempre, in fondo, meno degli uomini. Quelle stesse persone compiono abusi o ne coprono altri di cui sono al corrente. I numeri non sono ancora divulgabili perché solo da poco “le compagne” hanno deciso di non tacere più.
Il pink washing è quanto di più diffuso si registri in un qualunque posto di lavoro, luogo istituzionale, intervento pubblico. Si fa ben attenzione a ciò che si dice, così poi si può agire indisturbati, chi volete che venga a controllare?
State nascondendo cumuli di immondizia sotto tappeti di asterischi e scevà, mentre pigramente proponete un linguaggio che più che inclusivo risulta solo povero, lasciate che accada qualunque cosa sotto i vostri occhi. Purché un compagno lo dica nel modo giusto. E diamine, faccio la scrittrice, lo so da me che il linguaggio è importante. Peccato che, se preso da solo e imposto a sistema, sia il miglior tendone dietro il quale occultare la violenza.
Le parole sono importanti e vanno utilizzate a dovere. In un momento storico in cui il cinema avrebbe molto da dire, i simboli del femminismo sono Barbie e C’è ancora domani. Il che è tutto dire.
“Femminismo” è il vezzo, l’accessorio da indossare sulle labbra, come un rossetto, vistoso e superficiale, che va via con poco.
E ancora, al cinema è uscito Finalmente l’alba: giornali copycat hanno ribattuto senza alcuna verifica che il film è ispirato al “femminicidio di Wilma Montesi”. Peccato che il presunto assassino della povera Wilma non sia mai stato preso, che in effetti potrebbe essersi trattato di suicidio o addirittura di un incidente. La definizione del femminicidio è data dal movente, come si fa a chiamarlo tale se l’assassino non si sa chi sia? Le parole sono importanti, è vero, e usarle a caso è molto pericoloso.
Porta assuefazione. Troppe tragedie in prima pagina, troppa efferatezza. Non fa quasi più notizia. Uno stupro di gruppo, un’altra donna ammazzata, un marito assolto perché picchiare la moglie “fa parte della sua cultura”. Che volete che sia, amiche e amici? Che volete comporti, fino a che vi saluto augurando il buongiorno a tutte e tutti?
Mamma mia, che incredibile paturnia femminile è questo editoriale. Che saputella, da quanto tempo non starà con un uomo chi lo ha scritto? Quanto rompe, come tutte le femmine.
Buon 8 marzo a un paese che pensa ancora così. 8 marzo un cazzo.