Woody Allen compie 84 anni. Uno dei più grandi cineasti della storia del cinema. E anche uno dei più pericolosi vecchietti d’America. Non potrebbe essere altrimenti, parliamo di un soggetto criminale con cui nessuno vuole avere a che fare. Una situazione grottesca, con a corollario una serie di gustosi paradossi.
Il primo è un paradosso temporale. In realtà Woody Allen non ha 84 anni. Ne ha cinquanta di meno e il suo vero nome è Virgil Starkwell, un avanzo di galera costantemente in cima alla lista dei latitanti più ricercati del paese. Neanche la fervida immaginazione del regista di Prendi e soldi e scappa avrebbe potuto immaginare di trovarsi, in piena età pensionabile, in una situazione assurda quanto quella del suo primo film da regista.
Situazione che abbiamo già spiegato qui, ma che per fortuna, almeno da noi, che non siamo certamente un paese civile, ma che ancora non ci beviamo proprio tutto, quasi, ci ha permesso di godere del suo ultimo film, straordinario, Un giorno di pioggia a New York.
Ultimo, ma non per sempre, dato che le riprese di Rifkin’s Festival sono già finite e dovrebbe essere la strenna del 2021. Un ritorno alla normalità, quindi, e l’appuntamento sarà quasi certamente per il prossimo festival di San Sebastian, dato che buona parte del film è stato girato durante l’edizione di quest’anno.
Prenotato il biglietto per Donostia, passiamo al secondo paradosso.
Woody Allen ha scoperto di essere ebreo solo un anno fa. Non fatevi ingannare da tutte quelle battute giudaico-newyorkesi, quelle servivano solo a far ridere la gente. La realtà è che l’attico a Manhattan, fortezza del radical chic di sinistra, non è bastato più a proteggerlo. E così è iniziata la persecuzione, dopo una lunga preparazione, un processo di accerchiamento culminato nell’attacco finale. Reietto, censurato, scacciato dal suo mondo. Così Woody Allen si è accorto di essere ebreo. E dato che per questo il Vangelo non è di sua competenza, a porgere l’altra guancia non ci ha pensato neanche per un momento. E non smetteremo mai di ringraziarla per questo.
Una volta messa per sempre in archivio la folle vendetta di una donna disturbata e ferita, non tanto per la figlia adottiva che è adesso la moglie del suo ex compagno, ma molto più probabilmente perché è tra le poche attrici che non ha vinto un Oscar lavorando con Woody Allen, andiamo avanti.
Aspettiamo il prossimo film, continuiamo a goderci quello che è adesso in sala, deridendo il povero Timothée Chalamet, che è stato magnifico nei panni di un giovane alter ego del regista e che, improvvidamente, ha detto che non avrebbe più lavorato con lui per tutte le ragioni di cui sopra. Bravo, meglio una carriera al servizio di Greta Gerwig.
Continuiamo a goderci Scarlett Johansson, che invece ha sentito cantare il gallo tre milioni di volte e non lo ha mai rinnegato (porto questo esempio perché Gesù, o chi per lui, era ebreo, informazione che oggigiorno sembra sfuggire a molti). Per questa ragione, dicono parta svantaggiata nella corsa agli Oscar di quest’anno, nonostante la meravigliosa interpretazione in Marriage Story di Noah Baumbach.
Kate Winslet aveva provato a salvarsi in corner, ma non le bastò esprimere un rammarico di circostanza per ottenerla, la nomination all’Academy Award intendo, e come sarebbe stato doveroso oltretutto, per La ruota delle meraviglie. Cate Blanchett, invece, con la statuetta per Blue Jasmine usata probabilmente come costoso fermaporta, diplomaticamente ha detto, leggi bene tra le righe, che la questione è chiusa e che se per caso dovesse riaprirsi, ne osserverebbe lo sviluppo in un eventuale tribunale. Ah, la scaltrezza australiana.
In tutto ciò, probabilmente Scarlett si consolerà comprando il Maryland con i soldi di Black Widow.
Dicevamo Noah Baumbach. Già, proprio lui, il compagno di Greta Gerwig, quello che voleva essere Woody Allen, ma non lo sarà mai. E Greta, la prima a dire “non lavorerò più con Woody Allen e non lo avrei mai fatto, se all’epoca avessi saputo quello che oggi so”. A dire il vero, la Gerwig non ha mai rivelato cosa effettivamente sapesse. Questo perché probabilmente non c’è niente da sapere. E stai serena Greta, se in sette anni non hai più ricevuto una sua telefonata, fatti una domanda e datti una risposta.
Alla fine della fiera, si tratta di ignobili meschinità, dettate da un clima tossico, nato molto probabilmente da un regolamento di conti a lungo atteso, e che sta creando mostri. Umanamente e artisticamente parlando.
Mi chiarisco, per evitare fraintendimenti, facili per chi non ha voglia alcuna di capire. Il movimento che è scaturito dallo scandalo Weinstein è sacrosanto, e la cosa forse davvero scandalosa sta nel fatto che ci sia voluto lo scoperchiamento di questo vaso di Pandora per dire e fare cose giustissime. Ma come la Storia insegna, alla rivoluzione segue il Terrore.
Per fortuna, alcune cose sono più forti. Tra queste, il genio, il talento, per quanto offesi, prima o poi si curano da soli, e permettono a un anziano intellettuale ebreo newyorkese di festeggiare un compleanno con la sua famiglia, e spegnendo le candeline pensare al suo nuovo film, che sta piacendo tanto al pubblico italiano.
Nonostante si parli di un vecchietto armato. Come quelli di The Irishman, ma di loro parleremo presto. Woody Allen ha un arsenale dalla sua parte. Tutto nella sua testa, che finché funzionerà a dovere, e non sembra perdere troppi colpi, lo renderà uno degli uomini più pericolosi d’America. Un libero pensatore, un artista, capace del meschino atto di ucciderti a suon di risate, di spezzarti il cuore con una storia finita male, di farti sorgere il dubbio che le cose non siano esattamente come sembrano. Il nemico pubblico n°1.
Buon compleanno, Woody Allen. La seguiremo fino all’Inferno.